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Storie di mare: Alla larga dal mare (seconda parte)

by Vela Pratica

Il mare, visto da chi voleva stare sulla terraferma. Ecco il secondo racconto di mare scritto da Viviana Capurso

alla-larga-dal-mareL’oggetto oscillante, visto “da sopra”, non assomiglia per niente a Love Boat. Tutti quei telefilm sono stati solo una presa in giro.
Avete presente quei ponti, le sdraio per prendere il sole, i cocktail? Non so se sia colpa di mio marito che ha scelto un modello sbagliato, ma qui non c’è nulla di simile.

Questa specie di enorme volante a forma di ruota, tanto per dirne una, ingombra un sacco e non si sa a cosa debba servire.
Mi muovo con circospezione dietro a mio marito.
Per terra è tutto un caos. Corde, cose che tengono le corde, tubicini, oggetti tondi in acciaio, oggetti lunghi in acciaio, cavi, cavi in acciaio… mi sfugge un concetto: gli esseri umani, su questo pericoloso oggetto oscillante, dove diavolo dovrebbero stare?

Nel tempo in cui arrivo sul davanti della barca – e insisto, non lo chiamerò “prua” solo per farvi piacere, è (e rimane) “il davanti” – ho lasciato un ginocchio su una sbarra di legno, un alluce su una sporgenza, un mignolo su una corda. Non posso neppure chiedere se c’è un medico a bordo.

Mio marito è un medico.

Anche se guardo in alto, è tutto un caos. Ci sono un sacco di sbarre verticali, un paio di sbarre orizzontali e il solito numero infinito di corde e cordine. Mentre esploro con circospezione mio marito annuncia con voce pacata: – Tieniti, sta passando un motoscafo.

Dato il tono non mi preoccupo minimamente, è evidente che sa cosa fa.

Lui.

Io, invece, penso bene di afferrarmi ad una corda penzolante. D’altronde mio marito lo ripete sempre – sulla terraferma peraltro – “in barca ci sono un mucchio di oggetti a cui tenersi”.

Sì, questa cordina a righine bianche e blu mi sembra perfetta per tenermi salda. Poi questo motoscafo sembra davvero una lumaca. Mio marito, con tutte le sue precauzioni, è il solito pignolo.

Alla prima onda perdo lo scarso equilibrio che si può avere su un oggetto oscillante, mi aggrappo con forza al cordino, il cordino si srotola rapido dall’oggetto metallico, io mi arrotolo rapida sulla corda e picchio nuovamente la testa sulla solita sbarra di metallo orizzontale. Dalla sbarra verticale si srotola una specie di lenzuolino.

Quando l’oggetto semovente smette di oscillare, mio marito si volge serafico.

– Perché hai mollato una cima?

– Forse è lei che ha mollato me, non ti sembra?

– Non dovresti tenerti alla cima, non è sicuro.

Di sicuro al momento c’è solo il fatto che voglio il divorzio.

– Perché non ti tieni al tientibene?

Tientibene???? Io non so chi abbia inventato il gergo degli oggetti oscillanti, ma di sicuro aveva una fantasia malata. Sembra di essere in “Colazione da Tiffany” con il gatto che si chiama “Gatto”. Qui però è molto meno poetico.

Al momento comunque, quello che mi lascia perplessa è che ho visto solo “il sopra” della barca. Esattamente, dove dovrebbe essere lo spazio abitabile?

Mio marito, in anni di conoscenza, è diventato un esperto di lettura del pensiero.

– Vieni, ti mostro l’interno.

Una scala con tre gradini ripidissimi mi conduce in un antro buio. Ognuno dei gradini è lungo metà del mio piede.

– Hai comprato una barca per Cenerentola – commento acida tentando di scendere le scale con l’agilità di un leone marino.

Una volta scesa sotto gli occhi faticano ad abituarsi alla semioscurità. Non vedo nessun oggetto utile qui sotto. Ci sono solo pareti di legno, divani e quattro porticine di legno, perfette per chi non supera l’altezza di “due mele o poco più”.

Dove portano le porte? Cerco di aprirne una. Ruoto il pomello ma non si apre.

– Spingi.

Io spingo. Al terzo tentativo, appoggiando tutto il mio peso e con una mossa di spalla che ricorda i più cruenti telefilm americani, entro così rapidamente che, immancabilmente, picchio la testa sull’ennesima sporgenza e mi ritrovo seduta in un sarcofago triangolare.

– Ecco! Quella è la nostra cabina! Dormiremo lì.

Probabilmente il trauma cranico questa volta è più serio. Mio marito parla e io non capisco cosa intende. Questo sarcofago non può essere una cabina.

Mio marito prosegue imperterrito con la visita.

– Vieni, ti mostro il bagno.

Una specie di stanza per puffi di forma triangolare appare dietro l’ennesima porticina anti-sfondamento.

A parte gli oggetti prioritari per la definizione di “bagno” non vedo i complementi d’arredo essenziali tipo doccia e vasca.

Il sorriso di mio marito comincia ad essere tirato.

– Per “il resto” ci sono le marine, i porti…

– In che senso?

– Sai, come nei bagni dei campeggi…

– Non sono mai stata in un campeggio. Come sono i bagni dei campeggi?

– Beh, belli, curati, vengono puliti spesso perché li usano parecchie persone.

– Parecchie persone chi????????

Come nel Libro Cuore, “l’infame” sorride.

– Dai, molliamo gli ormeggi.

L’unico che vorrei mollare, al momento, è mio marito.

Fatemi scendere.

Viviana Capurso

(La prima parte del racconto di Viviana è Storie di Mare: Il mare, visto da chi voleva stare sulla terraferma)

 

Viviana Capurso, autrice del racconto

Viviana Capurso, autrice del racconto

Assegnista di ricerca presso l’Università di Udine, viaggiatrice priva di senso dell’orientamento e cuoca scarsa, ancora non ha deciso cosa farà per cena. Per lavoro scrive articoli che nessuno legge, nel tempo libero cerca il riscatto. Cresciuta sulla terraferma ambirebbe a restarvi. Costretta a salire su un oggetto oscillante ha un fitto dialogo con le bocche di granchio, armeggia ma non ormeggia, osteggia gli osteriggi. Teme le nutrie convertite alla dieta onnivora, gli algidi marinai croati e i fiocchi che non siano sui pacchetti. Dell’oggetto oscillante non ha ancora capito a cosa serve quel grande volante, la miriade di cordine colorate e quelle tendine triangolari appese a un palo. Soffre il mal di movimento e nella vita aveva una sola certezza, voleva stare alla larga dal mare.

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